I plebei erano ormai (intorno al 475) numerosi quanto i patrizi, se non di più. La loro organizzazione si era perfezionata e molti dei loro capi si sforzavano di migliorare la condizione dei loro seguaci. Il loro scopo particolare era quello di portare i loro diritti civili e politici alla pari di quelli dei patrizi. La lotta culminò infine nell'assassinio di uno dei Tribuni, Gnarus Genucius, per aver tentato di porre il veto su alcuni atti dei Consoli.
Il tribuno VALERO PUBLILIUS propose e fece approvare, nonostante la violenta opposizione dei patrizi, una misura che prevedeva che d'ora in poi i tribuni fossero scelti nei Comitia Tribúta, anziché nei Comitia Centuriáta. In questo modo i plebei ottennero un passo molto importante. Questo progetto di legge è stato chiamato Legge Pubblica (Plebiscítum Publilium). (Nota: tutte le leggi approvate nei Comitia Tribúta erano chiamate Plebiscíta, e fino al 286 non erano necessariamente vincolanti per il popolo in generale; ma questa legge sembra essere stata riconosciuta come legge).
Per i successivi vent'anni la lotta continuò senza sosta. I plebei chiedevano un CODICE SCRITTO DI LEGGI.
In tutti i popoli primitivi troviamo che all'inizio le leggi sono quelle non scritte, quelle della consuetudine e dei precedenti. A Roma, fino a quel momento, le leggi erano state interpretate solo in base ai desideri e alle tradizioni dei patrizi. Si chiedeva un cambiamento. Questo fu ottenuto con la ROGAZIONE TERENTILIANA, una proposta avanzata nel 461 da Gaio Terentilio Harsa, un tribuno, affinché le leggi fossero scritte. Le famiglie patrizie, guidate da un certo Kaeso Quinctius, fecero un'aspra opposizione. Lo stesso Kaeso, figlio del famoso Cincinnato, fu messo in stato di accusa dal tribuno e fuggì dalla città.
Alla fine si decise che i Comitia Centuriáta avrebbero scelto tra il popolo dieci uomini, chiamati DECEMVIRATI, che sarebbero rimasti in carica per un anno, avrebbero diretto il governo e sostituito tutti gli altri magistrati, e soprattutto avrebbero redatto un codice di leggi da sottoporre all'approvazione del popolo. Una commissione di tre patrizi fu inviata ad Atene per esaminare le leggi di quella città, che era ormai (454) al culmine della sua prosperità. Questa commissione trascorse due anni e al suo ritorno, nel 452, fu nominato il Decemvirato di cui sopra.
Le leggi redatte da questa commissione furono approvate, incise su dieci tavole di rame e collocate nel Foro di fronte al Senato. L'anno successivo furono aggiunte altre due tavole. Queste DODICI TAVOLE costituivano l'unico codice romano.
I DECEMVIRI avrebbero dovuto dimettersi non appena approvate queste leggi, ma non lo fecero e cominciarono ad agire in modo crudele e tirannico. Il popolo, sempre più inquieto per l'ingiustizia, si ribellò quando uno dei Decemviri, Appio Claudio, emise una sentenza che portò in suo potere una fanciulla innocente, Virginia. Suo padre, Virginio, salvò l'onore della figlia pugnalandola al cuore e, fuggendo nell'accampamento, invitò i soldati a porre fine a questo governo malvagio.
Una seconda volta l'esercito abbandonò i suoi capi e si ritirò sul MONTE SACRO, dove nominò i propri Tribuni. Poi, marciando in città, costrinsero i Decemviri a dimettersi.
Le DODICI TAVOLE non si sono conservate, se non in frammenti, e non sappiamo molto del loro esatto contenuto. La posizione del debitore fu apparentemente resa più sopportabile. Il controllo assoluto del pater familias sulla sua famiglia fu abolito. Lo stretto legame fino ad allora esistente tra i clienti e i patroni si allentò gradualmente, i primi divennero meno dipendenti dai secondi e infine furono assorbiti nel corpo della plebe. Tra i plebei cominciarono a essere riconosciute le gentes, mentre prima solo i patrizi erano divisi in gentes.
Così vediamo che, socialmente, i due ordini si stavano avvicinando sempre di più.
Nel 449 Valerio e Orazio vennero eletti consoli e furono determinanti per l'approvazione delle cosiddette leggi VALERIO-ORATIANE, il cui contenuto era il seguente
- I. Ogni cittadino romano poteva appellarsi ai Comitia Centuriáta contro la sentenza di qualsiasi magistrato.
- II. Tutte le decisioni dei Comitia Tribúta (plebiscita), se approvate dal Senato e dai Comitia Centuriáta, erano vincolanti per patrizi e plebei. Questa assemblea diventava così di pari importanza rispetto alle altre due.
- III. Le persone dei Tribuni, degli Edili e degli altri funzionari plebei dovevano essere considerate sacre.
- IV. I Tribuni potevano partecipare ai dibattiti del Senato e porre il veto sulle sue decisioni.
Due anni dopo (447), l'elezione dei Questori, che dovevano essere ancora patrizi, fu affidata ai Comitia Tribúta. In precedenza erano stati nominati dai consoli.
Nel 445 il tribuno Canuleo propose una legge, che fu approvata e chiamata legge canuleiana, che concedeva ai plebei il diritto di contrarre matrimonio (connubium) con i patrizi e stabiliva che tutti i figli di tali matrimoni avrebbero dovuto avere il rango del padre.
Canuleio propose anche un'altra proposta di legge, che non portò avanti: quella di aprire il consolato ai plebei. Si giunse comunque a un compromesso e si decise di sospendere per un certo periodo la carica di console e di eleggere annualmente sei TRIBUNI MILITARI nei Comitia Centuriáta, carica aperta a tutti i cittadini. Il popolo votava ogni anno se avere dei consoli o dei tribuni militari, e questa usanza continuò per quasi mezzo secolo. I patrizi, tuttavia, erano così influenti che per molto tempo non fu eletto nessun plebeo.
Per controbilanciare i guadagni della plebe, nel 435 i patrizi ottennero due nuovi ufficiali, chiamati CENSORI, eletti tra le loro fila ogni cinque anni (lustrum) e in carica per diciotto mesi.
I compiti dei Censori erano i seguenti
- I. Controllare che i cittadini di ogni classe fossero registrati correttamente.
- II. Punire l'immoralità nel Senato, rimuovendo i membri che si fossero resi colpevoli di reati contro la morale pubblica.
- III. Avere la supervisione generale delle finanze e delle opere pubbliche dello Stato. Questa carica divenne negli anni successivi la più ambita a Roma.
Pochi anni dopo, nel 421, i plebei fecero un altro passo avanti ottenendo il diritto di eleggere uno dei loro membri come questore. Ora i questori erano quattro.
Così i patrizi, nonostante la resistenza più ostinata, subirono perdite su perdite. Anche i ricchi plebei, che fino ad allora avevano spesso avuto interesse a schierarsi con i patrizi, si unirono ai contadini o alle classi inferiori.
Infine, nel 367, i tribuni Licinio e Sestio proposero e approvarono i seguenti progetti di legge, chiamati ROGAZIONI LICINIANE.
- I. Abolire i sei tribuni militari ed eleggere annualmente, come in passato, due consoli, scegliendone uno o entrambi tra i plebei.
- II. Vietare a qualsiasi cittadino di possedere più di 500 jugera (300 acri) di terre pubbliche, o di farvi pascolare più di 100 buoi o 500 pecore.
- III. Obbligare tutti i proprietari terrieri a impiegare nei loro campi un certo numero di lavoratori liberi, proporzionale al numero dei loro schiavi.
- IV. Permettere che tutti gli interessi fino ad allora pagati sul denaro preso in prestito fossero dedotti dal capitale e che il resto fosse pagato in tre rate annuali.
Queste rogazioni furono un grande guadagno per le classi più povere. Davano loro l'opportunità di svolgere un lavoro che in precedenza era stato svolto per lo più dagli schiavi. Erano meno gravati dai debiti e avevano la prospettiva di diventare solvibili. Ma soprattutto, dal momento che la carica di console era aperta a loro, sentivano che i loro interessi avevano maggiori probabilità di essere tutelati. Il tempio della CONCORDIA nel Foro fu dedicato da Camillo in segno di gratitudine per i tempi migliori che queste rogazioni promettevano.
I plebei, tuttavia, non si fermarono finché tutte le cariche, tranne quella di Interrex, non furono aperte a loro. Prima ottennero quella di Dittatore, poi quelle di Censore e di Pretore e infine, nel 286, con la legge di Ortensio, il plebiscito divenne vincolante per tutto il popolo senza la sanzione del Senato e dei Comitia Centuriáta. Dopo il 200 anche le cariche sacre di PONTIFEX e AUGUR poterono essere ricoperte da plebei.
In questo modo la lotta che durava da due secoli era virtualmente terminata; e sebbene i patrizi romani si tenessero ancora lontani dai plebei, i loro diritti di cittadini non erano superiori a quelli dei plebei.
Ricapitolando
La piena cittadinanza comprendeva quattro diritti: quello di commerciare e detenere proprietà (COMMERCIUM), quello di votare (SUFFRAGIUM), quello di contrarre matrimoni (CONNUBIUM) e quello di ricoprire cariche (HONORES).
Il primo di questi diritti i plebei lo hanno sempre goduto; il secondo lo hanno ottenuto con l'istituzione della COMITIA TRIBÚTA; il terzo con la legge CANULEIANA; il quarto con la legge LICINIANA e le successive.
(traduzione da Ancient Rome : from the earliest times down to 476 A. D. by Robert F. Pennell)
Il successivo vantaggio ottenuto dalla plebe fu la nomina annuale, tra le proprie fila, di due ufficiali, chiamati AEDILES (nota: la parola "Aedile" deriva da Aedes, che significa tempio). Questi ufficiali occupavano quasi la stessa posizione nei confronti dei Tribuni che i Questori occupavano nei confronti dei Consoli. Assistevano i Tribuni nello svolgimento dei loro vari compiti e avevano anche la responsabilità speciale del tempio di Cerere. In questo tempio venivano depositati, per essere custoditi, tutti i decreti del Senato.
Queste due cariche, quella di Tribuno e quella di Edile, frutto della prima secessione, venivano ricoperte da elezioni che si tenevano dapprima nella Comitia Centuriáta, ma in seguito in un'assemblea chiamata COMITIA TRIBÚTA, che si riuniva a volte all'interno e a volte all'esterno delle mura cittadine.
Questa assemblea era composta da plebei, che votavano per "tribù" (tributa, cioè composta da tribù), ogni tribù aveva diritto a un voto e il suo voto era deciso dalla maggioranza dei suoi singoli elettori. (Nota: queste "tribù" erano una divisione territoriale, corrispondente all'incirca alle "circoscrizioni" delle nostre città. All'epoca erano probabilmente sedici, ma in seguito furono trentacinque. I plebei della città vivevano per lo più in un solo quartiere, sull'Aventino).
I Comitia Tribúta erano convocati e presieduti dai Tribuni e dagli Edili. In esso si discutevano le questioni di interesse per i plebei. Sebbene all'inizio le misure approvate non fossero vincolanti per il popolo in generale, il Comitia Tribúta divenne presto un organo determinato, con capi competenti e coraggiosi, che si sentivano una potenza nello Stato.
L'obiettivo dei patrizi era ora quello di ridurre il potere dei Tribuni; quello dei plebei, di frenare i Consoli ed estendere l'influenza dei Tribuni. Lo spirito di partito era alto e in città si verificavano persino scontri corpo a corpo. Molte famiglie lasciarono Roma e si stabilirono nei luoghi vicini per sfuggire al tumulto. È sorprendente che il governo abbia resistito alla tensione, tanto era feroce la lotta.
In questo periodo si affermarono per la prima volta le Leggi Agrarie. Queste leggi si riferivano alla distribuzione delle terre pubbliche. Roma aveva acquisito una grande quantità di terre prese dal territorio delle città conquistate. Questa terra era chiamata AGER PUBLICUS, o terra pubblica.
Una parte di questa terra fu venduta o data in concessione come "fattorie", e quindi divenne AGER PRIVÁTUS, o terra privata. Ma la maggior parte era occupata con il permesso dei magistrati. Gli occupanti erano di solito ricchi patrizi, favoriti dai magistrati patrizi. Questa terra, così occupata, veniva chiamata AGER OCCUPÁTUS, o possessio; ma in realtà era ancora proprietà dello Stato. L'affitto pagato era un certo per cento (dal 10 al 20) dei raccolti, o una cifra pari a un capo per il bestiame al pascolo. Sebbene lo Stato avesse l'indubbio diritto di reclamare questa terra in qualsiasi momento, i magistrati permettevano agli occupanti di conservarla e spesso erano indulgenti nel riscuotere i diritti. Col tempo, questa terra, che veniva tramandata di padre in figlio e spesso venduta, iniziò a essere considerata dagli occupanti come una loro proprietà. Anche l'imposta fondiaria (TRIBÚTUM), che gravava su tutti gli ager privátus e che era particolarmente gravosa per i piccoli proprietari terrieri plebei, non poteva essere legalmente riscossa sugli ager occupátus. Pertanto, i patrizi che possedevano, e non possedevano, queste terre erano naturalmente considerati usurpatori dai plebei.
Il primo obiettivo delle Leggi Agrarie era quello di porre rimedio a questo male.
SPURIO CASSIO, un uomo abile, si fece avanti (486?), proponendo una legge che prevedeva che lo Stato prendesse queste terre, le dividesse in piccoli lotti e le distribuisse ai plebei poveri come case (homesteads). La legge fu approvata, ma in tempi difficili costò la vita a Cassio e non fu mai applicata.
(traduzione da Ancient Rome : from the earliest times down to 476 A. D. by Robert F. Pennell)
Alla fine della dinastia dei Tarquini, la forma di governo regale fu abolita e, al posto di un re in carica a vita, furono eletti annualmente tra i Patrizi due funzionari, chiamati CONSOLI, ognuno dei quali possedeva il potere supremo e agiva come un salutare controllo sull'altro, in modo che nessuno dei due potesse abusare del proprio potere. Questo cambiamento avvenne verso la fine del VI secolo prima di Cristo.
In tempi di grande emergenza, uno dei consoli poteva nominare una persona chiamata DICTATOR, che doveva avere l'autorità suprema; ma il suo mandato non superava mai i sei mesi e doveva essere un patrizio. Esercitava la sua autorità solo fuori dalle mura della città. Fu in questo periodo, intorno al 500, che la COMITIA CENTURIÁTA divenne l'assemblea più importante, sostituendo in larga misura la COMITIA CURIÁTA.
Dobbiamo ricordare che in questa assemblea venivano giudicati tutti i casi criminali, nominati i magistrati e adottate o respinte le leggi. Non dobbiamo dimenticare che, essendo basata sulla proprietà, era sotto il controllo dei patrizi, poiché la grande massa dei plebei era povera. C'erano comunque molti plebei ricchi, e finora l'assemblea fu un guadagno per questo partito.
In questo periodo il Senato, che fino ad allora era composto esclusivamente da Padri di famiglia (Patres), ammise tra le sue fila alcuni dei più ricchi tra i plebei terrieri e li chiamò CONSCRIPTI. (Nota: questa è l'origine dell'espressione usata dagli oratori che si rivolgono al Senato, ossia: "Questi, tuttavia, non potevano prendere parte ai dibattiti, né ricoprire magistrature.
Il Senato, così costituito, confermava o respingeva la nomina di tutti i magistrati fatta nella Comitia Centuriáta. In questo modo controllava l'elezione dei Consoli, le cui funzioni, ricordiamolo, erano quelle di generali e giudici supremi, anche se ogni cittadino romano aveva il privilegio di appellarsi alle loro decisioni nei casi che riguardavano la vita.
Due ufficiali subordinati, scelti tra i patrizi, erano nominati dai consoli. Questi funzionari, chiamati QUAESTÓRES, gestivano le finanze dello Stato, sotto la direzione del Senato.
Le guerre in cui i Romani erano stati impegnati nel secolo precedente la fondazione della Repubblica avevano impoverito lo Stato e paralizzato il suo commercio. La situazione era stata avvertita da tutte le classi, ma soprattutto dalla piccola plebe terriera, i cui campi erano stati devastati. Erano costretti a ipotecare le loro proprietà per pagare le tasse e, quando non erano in grado di soddisfare le richieste dei creditori, secondo le leggi potevano essere imprigionati o addirittura messi a morte.
I ricchi proprietari terrieri, invece, accrescevano la loro ricchezza "coltivando" le entrate pubbliche; cioè lo Stato concedeva loro, per una somma stabilita, il privilegio di riscuotere tutti i dazi di importazione e di altro tipo. Questi, a loro volta (chiamati in seguito pubblicani), estorcevano tutto ciò che potevano ai contribuenti, arricchendosi così illegalmente. Così i tempi duri, l'oppressione degli esattori e l'ingiusta legge sul debito resero la condizione dei poveri insopportabile.
Anche il servizio militare li opprimeva. Molti erano costretti a prestare servizio più del dovuto e in un grado inferiore a quello giusto, perché i consoli, che avevano il compito di prelevare le truppe, erano patrizi e naturalmente favorivano il loro partito. Così vediamo che il servizio di cavalleria era a quel tempo composto interamente da giovani patrizi, mentre i più anziani erano nei corpi di riserva, cosicché il peso del dovere militare ricadeva sui plebei.
Questo stato di cose non poteva durare e, quando si presentò l'occasione di ribellarsi a questa ingiusta e crudele oppressione, i plebei non tardarono ad accettarla.
La città era in guerra con i vicini Sabini, Aequi e Volsci e aveva bisogno di uomini in più per difendersi. Uno dei consoli liberò tutti coloro che erano rinchiusi in prigione per debiti e il pericolo fu scongiurato. Al ritorno dell'esercito, però, coloro che erano stati liberati furono nuovamente gettati in prigione. L'anno successivo i prigionieri furono nuovamente richiesti. All'inizio si rifiutarono di obbedire, ma alla fine furono persuasi dal Dittatore. Ma dopo una meritata vittoria, al ritorno alle mura della città, i plebei dell'esercito disertarono e, marciando verso una collina vicina, la occuparono, minacciando di fondare una nuova città se non fossero stati riparati i loro torti. Questa è chiamata la Prima Secessione della Plebe e si dice che sia avvenuta nel 494.
I patrizi e i plebei più ricchi videro che bisognava fare delle concessioni, perché la perdita di queste persone sarebbe stata una rovina per Roma. I debitori vennero liberati dai loro obblighi e i plebei ricevettero il diritto di scegliere annualmente, tra di loro, due funzionari chiamati TRIBÚNI PLEBIS, che avrebbero dovuto curare i loro interessi e avere il potere di porre il veto a qualsiasi azione intrapresa da qualsiasi magistrato della città. Questo potere, tuttavia, era limitato all'interno delle mura cittadine e non poteva essere esercitato al di fuori di esse.
Anche la persona dei Tribuni era resa sacra, per evitare che venissero disturbati nell'esercizio delle loro funzioni, e se qualcuno avesse tentato di fermarli avrebbe commesso un crimine capitale. Così, se i Consoli o i Questori erano inclini a spingere all'estremo la legge sul debito, o a essere ingiusti nel prelevare le truppe, i Tribuni potevano intervenire e, con il loro VETO, interrompere immediatamente la questione.
Questo fu un immenso guadagno per i plebei, che ebbero ragione di dare il nome di MONTE SACRO alla collina in cui si erano ritirati.
Il numero dei Tribuni fu in seguito aumentato a cinque, e ancora più tardi a dieci.
(traduzione da Ancient Rome : from the earliest times down to 476 A. D. by Robert F. Pennell)
Dei sette re tradizionali di Roma, gli ultimi tre erano senza dubbio di origine etrusca e i loro regni hanno lasciato nella città molte tracce dell'influenza etrusca. Gli Etruschi erano grandi costruttori e gli unici edifici di rilievo che Roma possedeva, fino a un periodo molto più tardo, furono eretti sotto questa dinastia. Si dice che i nomi di questi re fossero LUCIO TARQUINIO PRISCO, SERVIO TULLIO, suo genero, e LUCIO TARQUINIO SUPERBO.
Sotto il primo di questi re fu costruito il bel tempio di Giove CAPITOLINO, sul Campidoglio, e vicino i santuari di Giunone e Minerva. Questo tempio di Giove era chiamato CAPITOLIUM e da esso deriva la parola CAPITOLO. Era considerato il centro della religione e dell'autorità romana e a volte vi si riuniva il Senato.
Si dice che durante questo regno sia stata costruita anche la famosa CLOÁCA MAXIMA, o grande fogna destinata a drenare la Campagna. Questa fogna era così ben costruita che è ancora utilizzata.
Sotto il secondo re di questa dinastia, Servio Tullio, la città fu circondata da una cinta muraria che comprendeva i colli Palatino, Quirinale, Celio e Aventino, e anche il Gianicolo, che si trovava sulla sponda opposta del fiume e che era collegato alla città da un ponte (pons sublicius).
Anche l'istituzione della nuova organizzazione militare, menzionata nel capitolo precedente, è stata attribuita a questo re.
L'allievo noterà la somiglianza tra queste riforme di Tullio e quelle di Solone di Atene, vissuto più o meno nello stesso periodo. Così l'influenza greca si fece sentire presto a Roma.
Durante il regno di Tullio fu eretto sull'Aventino un tempio in onore di DIÁNA, utilizzato da tutte le città latine.
Tarquinio Superbo aggiunse all'AGER ROMÁNUS il territorio della città di GABII e impiantò due colonie militari, che in seguito andarono perdute. La dinastia dei Tarquini terminò con il rovesciamento di questo re e si instaurò una Repubblica, che durò fino alla morte di Giulio Cesare.
(traduzione da Ancient Rome : from the earliest times down to 476 A. D. by Robert F. Pennell)
Abbiamo appreso la probabile origine dei LATINI; come si insediarono nel Lazio e fondarono numerose città. Ora esamineremo più in particolare una delle città latine che era destinata a superare tutte le sue sorelle in prosperità e potenza.
I sette colli
A circa venti chilometri dalla foce del Tevere, il monotono livello della pianura in cui scorre il fiume è interrotto da un gruppo di colline (nota: i sette colli della Roma storica erano l'Aventino, il Campidoglio, il Celio, l'Esquilino (il più alto, circa 55 metri sopra il livello del mare), il Palatino, il Quirinale e il Viminale. Il Gianicolo si trovava sull'altra sponda del Tevere e fu tenuto dai primi Romani come roccaforte contro gli Etruschi. Era collegato a Roma da un ponte di legno (Pons Sublicius) che si innalzava a un'altezza considerevole, attorno a uno dei quali, il PALATINO, si insediò per la prima volta una tribù di Latini chiamata RAMNES, nome gradualmente cambiato in ROMANI.
Non si sa quando si formò questo insediamento. La tradizione dice nel 753. Potrebbe essere stato molto prima. Questi primi coloni di Roma erano forse una colonia di Alba. Nelle prime fasi della loro storia si unirono a una colonia sabina che si era insediata a nord di loro sul COLLE QUIRINALE. A questa nuova tribù fu dato il nome di TITI o TIZI. Una terza tribù, chiamata LUCERES, composta forse da Latini conquistati, si aggiunse in seguito e si insediò sulla COLLINA COELIANA. Tutte le prime comunità, e i Romani non fanno eccezione, erano composte da diversi gruppi di famiglie. I Romani chiamavano questi gruppi GENTES e un singolo gruppo era chiamato GENS. Tutti i membri di una gens discendevano da un antenato comune, dal quale la gens prendeva il nome.
Governo di Roma
Il capo di ogni famiglia era chiamato PATER-FAMILIAS e aveva autorità assoluta (nota: chiamata patria potestas) sulla sua famiglia, anche in materia di vita e di morte.
All'inizio, il governo romano era guidato da questi Padri di famiglia, con un Re, eletto tra loro e in carica a vita. Il suo compito era quello di comandare l'esercito, di compiere alcuni sacrifici (come sommo sacerdote) e di presiedere l'assemblea dei padri di famiglia, che era chiamata SENATO, cioè un'assemblea di anziani (Senex).
Questo organo era probabilmente composto in origine da tutti i padri di famiglia, ma in epoca storica era limitato a TRECENTO membri, con carica a vita, nominati durante il periodo regale dal re. In seguito la nomina fu fatta dai Consoli, ancora più tardi dai Censori, e per quasi cento anni prima di Cristo tutte le persone che avevano ricoperto determinate cariche furono così investite del diritto di sedere in Senato. Per questo motivo, in questo periodo successivo, il numero dei senatori superava di gran lunga le trecento unità. I senatori, quando venivano interpellati, erano chiamati PATRES, cioè "padri", perché erano i padri delle famiglie.
I Romani, come abbiamo visto sopra, erano divisi inizialmente in tre tribù, Ramnes, Tities e Luceres Ogni tribù era suddivisa in dieci distretti chiamati CURIAE, e ogni curia in dieci clan chiamati GENTES (3 tribù, 30 curiae e 300 gentes). Ogni cittadino romano, quindi, apparteneva a una particolare famiglia, a capo della quale c'era un pater-familias; ogni famiglia apparteneva a una particolare gens, che prendeva il nome da un antenato comune; ogni gens apparteneva a una particolare curia e ogni curia a una particolare tribù.
Abbiamo appreso che nel primo governo di Roma c'era un re e un senato che consigliava il re. Oltre a questo, c'era un'assemblea composta da tutti i cittadini romani che potevano portare le armi. (Nota: dobbiamo ricordare che a quel tempo nessuno era cittadino romano se non apparteneva a qualche famiglia. Tutti gli altri residenti erano schiavi o non avevano diritti politici, cioè non avevano voce nel governo). Questa assemblea di cittadini romani si riuniva, di tanto in tanto, in uno spazio chiuso chiamato COMITIUM, che significa luogo di riunione o di incontro. Si trovava tra i colli Palatino e Quirinale, vicino al FORUM, o piazza del mercato. Questa stessa assemblea era chiamata COMITIA CURIÁTA, cioè un'assemblea composta dalle 30 curiae. Solo questo organo aveva il potere di modificare le leggi esistenti, di dichiarare la guerra o la pace e di confermare l'elezione dei re fatta dal Senato. Le votazioni in questa assemblea venivano effettuate da ciascuna curia e la maggioranza delle curiae decideva qualsiasi questione.
(traduzione da Ancient Rome : from the earliest times down to 476 A. D. by Robert F. Pennell)
Enea
Enea, figlio di Anchise e di Venere, fuggì da Troia dopo la sua conquista da parte dei Greci (1184?) e venne in Italia. Era accompagnato dal figlio IÚLUS e da alcuni valorosi seguaci. LATINO, re della regione in cui sbarcò Enèa, lo accolse benevolmente e gli diede in sposa la figlia LAVINIA. Enéas fondò una città, che chiamò LAVINIO, in onore della moglie. Dopo la sua morte, divenne re Iùlus, chiamato anche ASCANIO. Fondò sul monte Albano una città, che chiamò ALBA LONGA, e vi trasferì la capitale.
Romolo e Remo
Qui si susseguirono diversi re, l'ultimo dei quali fu SILVIO PROCA, che lasciò due figli, NUMITORE, il maggiore, e AMULIO. Essi si divisero il regno, il primo scegliendo la proprietà, il secondo la corona. Numitore ebbe due figli, un maschio e una femmina. Amulio, temendo che potessero aspirare al trono, uccise il figlio e fece della figlia, REA SILVIA, una vergine Vestale. Lo fece per impedirle di sposarsi, poiché ciò era proibito alle vergini Vestali. Ella, tuttavia, rimase incinta di Marte ed ebbe due figli gemelli, che chiamò ROMOLO e REMO. Quando Amulio ne fu informato, gettò in prigione la madre e ordinò che i ragazzi fossero annegati nel Tevere.
In quel periodo il fiume era ingrossato dalle piogge e aveva superato gli argini. I ragazzi vennero gettati in un luogo poco profondo, scamparono all'annegamento e, calate le acque, rimasero sulla terraferma. Una lupa, sentendo le loro grida, corse da loro e li allattò. FAUSTULO, un pastore che si trovava nelle vicinanze, vedendo ciò, portò i ragazzi a casa e li allevò. Quando crebbero e seppero chi erano, uccisero Amulio e diedero il regno al loro nonno, Numitore. Poi (753) fondarono una città sul monte Palatino, che chiamarono ROMA, dal nome di Romolo. Mentre stavano costruendo un muro intorno alla città, Remo fu ucciso in una lite con il fratello.
Romolo primo re
Romolo, primo re di Roma, regnò per trentasette anni (753-716). Trovò che la città aveva bisogno di abitanti e per aumentarne il numero aprì un asilo, dove si rifugiarono molti profughi. Ma c'era bisogno di mogli. Per sopperire a questa mancanza, celebrò dei giochi e invitò il popolo vicino, i SABINI, ad assistere agli sport. Quando tutti erano impegnati a guardare, i Romani si precipitarono all'improvviso e si impadronirono delle vergini sabine. Questa audace rapina provocò una guerra, che alla fine si concluse con un compromesso e con la spartizione della città con i Sabini. Romolo scelse allora cento senatori, che chiamò PATRES. Divise inoltre il popolo in trenta circoscrizioni. Nel trentasettesimo anno di regno scomparve e si ritenne che fosse stato portato in cielo.
Numa Pompilio
Seguì un anno senza re, poi fu scelto NUMA POMPILIO (716-673), un sabino di Cures. Era un uomo buono e un grande legislatore. Istituì molti riti sacri per civilizzare i suoi sudditi barbari. Riformò il calendario e costruì un tempio al dio Giano. Gli succedette TULLO OSTILIO (673-641). Il suo regno è noto per la caduta di Alba Longa. Poi venne ANCO MARZIO (640-616), nipote di Numa. Fu un buon sovrano e popolare. Conquistò i Latini, ampliò la città e costruì nuove mura intorno ad essa. Fu il primo a costruire una prigione e un ponte sul Tevere. (Nota: questo ponte era chiamato pons sublicius, cioè un ponte che poggiava su palafitte). Fondò anche una città alla foce, che chiamò OSTIA.
Tarquinio Prisco
I tre re successivi erano di origine etrusca. LUCIO TARQUINIO PRISCO (616-578) si recò per primo a Roma durante il regno di Anco e, diventando un suo favorito, fu nominato tutore dei suoi figli. Dopo la morte di Ano, strappò loro il governo e divenne lui stesso re. Aumentò i senatori a duecento, portò avanti con successo molte guerre e ampliò così il territorio della città. Costruì la CLOÁCA MAXIMA, o grande fogna, che viene utilizzata ancora oggi. Tarquinio iniziò anche il tempio di JUPITER CAPITOLÍNUS (GIOVE CAPITOLINO, sul Campidoglio. Fu ucciso nel trentottesimo anno di regno dai figli di Anco, ai quali aveva strappato il regno.
Servio Tullio
Gli succedette il genero SERVIO TULLIO (578-534), che ampliò ulteriormente la città, costruì un tempio a Diána e fece un censimento del popolo. Si scoprì che la città e i sobborghi contenevano 83.000 anime. Servio fu ucciso dalla figlia Tullia e dal marito di lei, Tarquinio Superbo, figlio di Prisco.
Tarquinio il superbo
TARQUINIO IL SUPERBO succedette al trono (534-510). Fu energico in guerra e conquistò molti luoghi vicini, tra cui Ardea, una città dei Rutuli. Terminò il tempio di Giove, iniziato dal padre. Ottenne anche i LIBRI SIBILLINI. Una donna di Cumae, una colonia greca, si recò da lui e gli offrì in vendita nove libri di oracoli e profezie; ma il prezzo sembrava esorbitante ed egli rifiutò di acquistarli. La sibilla ne bruciò allora tre e, tornando, chiese lo stesso prezzo per gli altri sei. Il re rifiutò di nuovo. La sibilla ne bruciò altri tre e ottenne dal monarca per gli ultimi tre il prezzo originale. Questi libri furono conservati in Campidoglio e tenuti in grande considerazione. Furono distrutti insieme al tempio da un incendio, il 6 luglio dell'83. Due uomini che li custodivano, li portarono in salvo e li bruciarono. Ne erano incaricati due uomini, chiamati duoviri sacrórum. Il culto delle divinità greche, Apollo e Latóna, tra le altre, fu introdotto attraverso questi libri.
La cacciata dei Tarquini
Nel 510 BRUTO, COLLATÍNO e altri formarono una congiura contro Tarquinio e le porte della città furono chiuse contro di lui. (Nota: la causa della congiura fu la violenza offerta da Sesto, figlio di Tarquinio, a Lucrezia, moglie di Collatino. Non potendo sopportare l'umiliazione, la donna si uccise in presenza della sua famiglia, dopo averla prima invocata per vendicarsi dei torti subiti) Si formò quindi una Repubblica, con due Consoli a capo del governo.
Orazio Coclite
Tarquinio fece tre tentativi di recuperare il suo potere a Roma, tutti falliti. (la vittoria sul lago Regillo, fu ottenuta su Tarquinio nel 509). Nell'ultimo tentativo (508) fu aiutato da PORSENNA, re degli Etruschi. I due avanzarono contro la città da nord. ORAZIO COCLITE, un giovane coraggioso, difese da solo il ponte (pans sublicius) sul Tevere finché non fu abbattuto alle sue spalle. Poi nuotò nel fiume per raggiungere i suoi amici.
Muzio Scevola
Durante l'assedio della città, QUINTO MUZIO SCEVOLA, un giovane coraggioso, si introdusse nell'accampamento del nemico con l'intenzione di uccidere il re Porsena, ma per errore uccise il suo segretario. Fu catturato e portato da Porsena, che cercò di spaventarlo con la minaccia del rogo. Invece di rispondere, Scaevola tenne la mano destra sull'altare in fiamme finché non si consumò. Il re, ammirando questo atto eroico, lo graziò. Per gratitudine, Scaevola disse al re che altri trecento uomini coraggiosi come lui avevano giurato di ucciderlo. Porsena fu così allarmato che fece la pace e si ritirò dalla città. Muzio ricevette il nome di Scaevola (mancino) a causa della perdita della mano destra.
Tarquinio si recò a Tuscolo, dove trascorse il resto dei suoi giorni in ritiro.
Menenio Agrippa
Nel 494 i plebei di Roma si ribellarono, perché stremati dalle tasse e dal servizio militare. Una gran parte di loro lasciò la città e attraversò l'Anio per raggiungere un monte (Mons Sacer) nelle vicinanze. Il Senato inviò MENENIO AGRIPPA a trattare con loro. Grazie alle sue iniziative (nota: si dice che Menenio abbia raccontato per loro la famosa favola del ventre e delle membra), il popolo fu indotto a rientrare in città e per la prima volta gli fu concesso di avere dei funzionari scelti tra i propri ranghi per rappresentare i suoi interessi. Questi funzionari furono chiamati Tribúni Plebis.
Coriolano
Due anni dopo (492) Gaio Marcio, uno dei patrizi, incontrò e sconfisse i Volsci, una tribù vicina, a CORIOLI. Per questo ricevette il nome di CORIOLÁNO. Durante una carestia, consigliò di non distribuire il grano ai plebei se non avessero rinunciato al diritto di scegliere i Tribúni Plebis. Per questo fu bandito. Ottenuto il comando di un esercito volsco, marciò contro Roma e giunse a cinque miglia dalla città. Qui fu accolto da una deputazione dei suoi cittadini, che lo pregò di risparmiare la città. Egli rifiutò; ma, quando la moglie e la madre aggiunsero le loro lacrime, fu indotto a ritirare l'esercito. In seguito fu ucciso dai Volsci come traditore.
I Fabii
Dopo la cacciata di Tarquinio, i FABII furono tra gli uomini più illustri di Roma. Erano tre fratelli e per sette anni consecutivi uno di loro fu console. Sembrava che la gens Fabiana avrebbe ottenuto il controllo del governo. Lo Stato si allarmò e l'intera gens, che contava 306 maschi e 4.000 persone a carico, fu cacciata da Roma. Per due anni continuarono a combattere da soli contro i Veienti, ma alla fine furono sorpresi e uccisi (477). Un solo ragazzo, Quinto Fabio Vibulano, sopravvisse per conservare il nome e la gens dei Fabii.
Cincinnato
Nel 458 i Romani furono messi a dura prova dagli Aequi. Il loro territorio era stato invaso e i loro Consoli, tagliati fuori in alcuni punti, erano in imminente pericolo di distruzione. LUCIO QUINTO CINCINNÁTO fu nominato dittatore. Era uno dei più noti guerrieri romani di questo periodo. Gli ambasciatori inviati per informarlo della sua nomina lo trovarono a lavorare ad armi nude nel suo campo. Cincinnato disse alla moglie di gettargli addosso il suo mantello, affinché potesse ricevere i messaggeri dello Stato con il dovuto rispetto. Tale era la semplicità del suo carattere, eppure aveva una così profonda venerazione per l'autorità. Gli Aequi non riuscirono a resistere alla sua vigorosa campagna, ma furono presto costretti ad arrendersi e a passare sotto il giogo in segno di umiliazione. Il Dittatore godette di un meritato trionfo.
Virginia
Nel 451 uno dei Decemviri, APPIO CLAUDIO, fu affascinato dalla bellezza di una fanciulla patrizia, VIRGINIA figlia di Lucio Virginio e promessa sposa di Lucio Icilio. Insieme a uno dei suoi uomini, formò un infame complotto per impossessarsi della Virginia, con il pretesto che fosse una schiava. Quando, nonostante tutti gli sforzi del padre e dell'amante della ragazza, il Decemviro l'aveva giudicata, in veste ufficiale, schiava del suo strumento, Virginio conficcò un coltello nel petto della figlia, in presenza del popolo nel Foro. Il popolo infuriato costrinse i Decemviri a dimettersi e Appio, per sfuggire a una punizione peggiore, pose fine alla propria vita.
Furio Camillo
MARCO FURIO CAMILLO fu un uomo famoso di poco successivo. Fu chiamato un secondo Romolo per i suoi eccellenti servigi. Nel 396 conquistò Veii, dopo un assedio di dieci anni. Al suo ritorno celebrò il più grandioso trionfo mai visto a Roma. In seguito fu messo sotto accusa per non aver diviso equamente il bottino ottenuto a Veii e andò in esilio ad Ardea. Quando Roma fu assediata dai Galli sotto Brenno, nel 390, Camillo fu richiamato e nominato dittatore. Alla testa di quarantamila uomini si precipitò in città, tolse l'assedio e nella battaglia che seguì annientò i Galli. Fu cinque volte dittatore, tre volte interrex, due volte tribuno militare e godette di quattro trionfi. Morì all'età avanzata di ottantotto anni.
Brenno
BRENNO fu il famoso capo dei Senoni, una tribù di Galli che invase l'Italia intorno al 390. Sconfisse i Romani presso il fiume Allia (18 luglio 390) e conquistò la città, tranne il Campidoglio, che assediò per sei mesi.
Durante l'assedio tentò di sorprendere la guarnigione, ma fu respinto da Manlio, svegliato dal gracchiare di alcune oche. La pace fu infine acquistata dai Romani con il pagamento di mille libbre.
Per aumentare il peso, si dice che Brenno abbia gettato la sua spada sulla bilancia. A questo punto, come si racconta, apparve Camillo con le sue truppe, ordinando di rimuovere l'oro, dicendo che Roma doveva essere riscattata con l'acciaio e non con l'oro. Nella battaglia che seguì, i Galli furono sconfitti.
(traduzione da Ancient Rome : from the earliest times down to 476 A. D. by Robert F. Pennell)
Per quanto ne sappiamo, i primi abitanti dell'Italia erano divisi in tre razze: gli IAPIGIANI, gli ETRUSCHI e gli ITALIANI. Gli IAPIGI furono i primi a stabilirsi in Italia. Probabilmente provenivano dal nord e furono spinti a sud dalle immigrazioni successive, fino ad accalcarsi nell'angolo sud-orientale della penisola (Calabria). Qui furono per lo più assorbiti dai Greci, che si insediarono tra l'VIII e il VII secolo lungo tutta la costa meridionale e sud-occidentale, e che erano più civilizzati. Oltre agli Iapigi, e distinti dagli Etruschi e dagli Italici, vi erano i Veneti e i Liguri, i primi dei quali si stabilirono in Venezia, i secondi in Liguria.
Gli etruschi
Gli ETRUSCHI, al tempo in cui inizia la storia romana, erano una razza potente e bellicosa, superiore agli italici nella civiltà e nelle arti della vita. Probabilmente provenivano dal nord e si insediarono dapprima nella pianura del Po; ma, in seguito, furono cacciati dall'invasione dei Galli e si spostarono più a sud, in Etruria. Qui formarono una confederazione di dodici città tra l'Arno e il Tevere. Tra queste città le più note erano Volsinii, il capo della confederazione, Veii, Volaterrae, Caere e Clusium. Questo popolo formò insediamenti sparsi anche in altre parti d'Italia, ma non riuscì ad affermarsi. Un tempo, nel VI secolo, erano al potere a Roma. Anche la Corsica era in questo periodo sotto il loro controllo. Il loro commercio era considerevole. Sono stati scoperti molti monumenti ben conservati della loro arte, ma nessuno è ancora riuscito a decifrare le iscrizioni su di essi. Il potere di questo popolo fu gradualmente ridotto dai Romani e dopo la caduta di Veii, nel 396, si estinse praticamente.
Gli Italici
Gli ITALICI erano della stessa origine degli Elleni e appartenevano alla razza ariana, un popolo che nei tempi più antichi viveva forse in Scandinavia. Mentre gli Elleni si insediavano in Grecia, gli italici entrarono in Italia.
A quel tempo gli italici avevano fatto notevoli progressi nella civiltà. Conoscevano, in una certa misura, l'arte dell'agricoltura, la costruzione di case, l'uso di carri e barche, il fuoco per preparare il cibo e il sale per condirlo. Sapevano fabbricare varie armi e ornamenti in rame e argento; riconoscevano marito e moglie e il popolo era diviso in clan (tribù).
I Latini
La parte degli italici nota come LATINI si stabilì in una pianura delimitata a est e a sud da montagne, a ovest dal Mar Tirreno e a nord dalle alte terre dell'Etruria.
Questa pianura, chiamata LATIUM (paese piatto), ha una superficie di circa 17.207 chilometri quadrati, con una costa di sole cinquanta miglia e nessun buon porto. È bagnata da due fiumi, il Tevere e il suo affluente, l'Anio (Aniene). Qua e là si ergono colline, come Soracte a nord-est, il promontorio di Circeo a sud-ovest, il Gianicolo vicino a Roma e la catena degli Albani più a sud. Le terre basse (la moderna Campagna) erano malariche e malsane. Per questo i primi insediamenti furono fatti sulle colline, che potevano anche essere facilmente fortificate.
La prima città fondata fu ALBA; attorno ad essa sorsero altre città, come Lanuvium, Aricia, Tusculum, Tibur, Praeneste, Laurentum, Roma e Lavinium.
Queste città, in numero di trenta, formarono una confederazione, chiamata CONFEDERAZIONE LATINA, e scelsero Alba come capo. Sul Monte Albano i magistrati celebravano con grande solennità una festa annuale, chiamata festa latina. Qui tutto il popolo si riuniva e offriva sacrifici al loro dio comune, Giove (Latiaris).
(traduzione da Ancient Rome : from the earliest times down to 476 A. D. by Robert F. Pennell)
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